Agrippina nacque da Germanico, fratello del futuro imperatore Claudio e da Agrippina Maggiore, nipote di Ottaviano Augusto. Fortissimamente convinta dell'importanza della propria stirpe, ambiziosa, dominatrice, ma anche accorta, lungimirante, pregna di senso dello Stato, Agrippina fu una delle più significative figure femminili dell'Impero Romano, e l'unica che riuscì a conseguire uno status effettivo comparabile a quello di un Principe-donna, ovvero di un'autentica Imperatrice (in latino non esiste neppure in nuce un senso femminile di "Princeps"; Virgilio ricorse alla nozione di "dux femina", En. 1.364, per cercare di definire Didone agli occhi dei Romani). Respinta dalla mentalità patriarcale di Roma, fu isolata, umiliata e perseguitata dal figlio, il Principe Nerone, con il quale si estinse la dinastia Giulio-Claudia. Sulla storia e le gravi vicende della sua dinastia, Agrippina scrisse dei Commentari, utilizzati da Tacito e Plinio il Vecchio come fonte storica. Fu la fondatrice della moderna Colonia sul Reno (Colonia Agrippinense), sorta su un pacifico patto di convivenza tra i veterani romani delle campagne germaniche ed il popolo germanico degli Ubii, alleati dei Romani dai tempi di Giulio Cesare. Gli abitanti di questa nuova città si chiamarono Agrippinensi. Nel 1993, la Città di Colonia ha eretto una statua ad Agrippina sulla facciata del proprio Municipio. Il suo favore verso il mondo celtico fu confermato allorché concesse la grazia al re britannico Carataco, giunto a Roma in catene. Ebbe dal Senato di Roma il titolo di Augusta, che non corrispondeva a quello di imperatrice, nel senso moderno del termine, ma che era comunque un riconoscimento di grande prestigio e pressoché unico, concesso a personalità di particolare spicco. Il rapporto tra madre e figlio, però, non era destinato a mantenersi solido e collaborativo, com'era stato finora: Agrippina non tollerava ombre al proprio potere e, quando il figlio prese a preferirle come consiglieri Burro e Seneca, e a mostrare scarsa disponibilità al sacrificio, nonché a tradire Ottavia con la liberta Atte, ella cominciò ad esercitare pressione sul figlio, avvicinandosi al giovane Britannico, suo figliastro. Nerone, insofferente dell'autorità materna, tolse di mezzo Britannico, avvelenandolo durante un banchetto. Da allora, madre e figlio si dichiararono guerra aperta. Nerone tolse ogni protezione alla madre e la fece allontanare dalla corte. Prese quindi come amante la bella Sabina Poppea, la quale istigò l'Imperatore a sbarazzarsi di sua moglie Ottavia e della stessa madre Agrippina. Nerone si risolse dunque al matricidio, senza temerne le conseguenze, che lo porteranno invece ad un inesorabile declino. L'assassinio fu peraltro difficile: non bastò far affondare la nave che riportava Agrippina ad Anzio dopo una festa a Bacoli (ora comune in provincia di Napoli) alla quale era stata invitata dal figlio: la compagna di Agrippina, Acerronia Pollia, precipitata in mare insieme all'Augusta, cominciò a gridare ai marinai che giungevano, complici di Nerone, di essere Agrippina e di trarla in salvo, ma quelli la uccisero colpendola alla testa con i remi; Agrippina, assistendo alla scena nel buio, e benché ferita, si allontanò silenziosamente a nuoto, e venne tratta in salvo da alcuni pescatori, che la condussero ad una villa nei pressi del lago Lucrino. Da qui fece avvisare Nerone che era sana e salva, ma questi perseverò nel delitto ed inviò alcuni feroci sicari alla villa della madre. Racconta Tacito che, ferita e colpita con una mazza, Agrippina porse il ventre ai suoi assassini, gridando: "Colpite al ventre che lo ha generato!". I sicari colpirono molte volte. Questa frase tanto nota, va però accolta con prudenza, data la mancanza di testimoni, osservato l'evidente intento simbolico di Tacito, e visto il fatto letterario che Seneca chiuda con una situazione pressoché identica e medesime parole la propria tragedia Edipo (Giocasta è Agrippina). Tutta la scena della morte presenta punti oscuri e forti contraddizioni, ben rilevate dalla migliore critica. I nomi caricaturali dei sicari (Erculeio ed Obarito), la presenza sulla scena del pantomimo Mnestere, battute da teatro tragico come quella sopra richiamata, e come il "tu quoque" (alla Giulio Cesare) proferito all'ancella infedele, la mancata individuazione della villa del matricidio, tutto ciò induce a ricostruire con prudenza le circostanze della morte. Tramanda Tacito che Agrippina sia sepolta a Bacoli, ma non sussistono ritrovamenti ufficiali.
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