giovedì 28 gennaio 2010

Anzio: La Campagna Romana, il 5/2/10.


Sarà presentato venerdì 5 febbraio alle ore 17.00, all’interno del Museo Civico Archeologico di Anzio, il volume redatto dal professor Clemente Marigliani “La Campagna Romana dai Bamboccianti alla Scuola Romana” rappresentativo della mostra allestita presso il Complesso del Vittoriano che, fino al prossimo 14 febbraio, vede protagonista Roma e la suggestiva Campagna Romana nell’arte figurativa attraverso la pittura di genere della seconda metà del Seicento, passando per le rappresentazioni degli artisti presenti nella capitale in occasione del Grand Tour, fino ad arrivare ai XXV della Campagna Romana dei primi del Novecento e ai grandi pittori della Scuola Romana in un percorso che si snoda tra circa 140 opere tra olii, acquarelli, disegni e incisioni provenienti da Collezioni private e per la maggior parte esposte per la prima volta al pubblico. La rassegna è organizzata e realizzata dall’Associazione Culturale Coriolano in collaborazione con Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia. Alla presentazione del volume, insieme all’autore, interverranno il sindaco di Anzio, Luciano Bruschini, l’Assessore Comunale alla Cultura, Umberto Succi e l’Assessore Provinciale alla Cultura, Cecilia D’Elia.

La mostra ed il Volume:

“… Attraversammo queste campagne deserte, questa solitudine immensa che circonda Roma fino a parecchie leghe di distanza. Il paesaggio è magnifico: non è una pianura piatta, la vegetazione è rigogliosa e il panorama è qua e là dal rudere di un acquedotto o di antiche tombe, che imprimono alla campagna romana un carattere di grandezza veramente incomparabile. Le bellezze dell’arte raddoppiano l’effetto delle bellezze naturali, evitando quella sazietà che procura il piacere di ammirare paesaggi”. Così Stendhal nel 1827. La Campagna Romana, quel territorio che, circonda Roma estendendosi a nord sino a Civitavecchia, il Soratte e la riva destra del Tevere, e a sud sino a Terracina lungo il litorale e nella fascia interna dai monti Tiburtini ai Lepini e agli Ausoni, appare già ai pittori del Seicento, del Settecento fino ai protagonisti del Gran Tour e anche oltre, come la terra della solitudine e del silenzio: paludi, prati con orizzonti segnati dal dolce profilo di colline, ampie distese disabitate punteggiate da ruderi, catene montuose fitte di boschi, antichi acquedotti incastonati nei prati. Già nel Seicento molti artisti colgono atmosfere e luci della Campagna Romana, ma è con il razionalismo illuminista che teorizza il paesaggio come precisa trascrizione dell’osservazione naturale che la Campagna Romana diviene oggetto e soggetto dell’interesse diretto degli artisti. La luce e i colori delle terre intorno a Roma affascinano un po’ tutti gli artisti stranieri attivi a Roma nella prima metà dell'Ottocento. Nei secoli XVIII e XIX, visitare l’Italia è considerato dalle classi colte europee parte essenziale della educazione di ogni giovane gentiluomo. Il termine Grand Tour compare per la prima volta nella traduzione in francese del “Voyage or a Compleat Journey through Italy” dell’inglese Richard Lassels, pubblicata nel 1670 come guida per studiosi, artisti e collezionisti d’arte in visita all’Italia. Il nostro paese viene considerato una tappa obbligata in quanto ricco di testimonianze del vagheggiato passato classico – greco e romano – di paesaggi bucolici e di attestati preziosi della cristianità. Ecco Chateaubriand esclamare: “Appena vedete qualche albero, ma dovunque si levano rovine di acquedotti e di tombe: rovine che sembrano essere le foreste e le piante indigene d’una terra composta dalla polvere dei morti e dai frantumi degli imperi”. La mostra La Campagna Romana dai Bamboccianti alla Scuola Romana” vuole essere anche preziosa testimonianza di un “tempo che fu”, un suggestivo viaggio nel tempo e nella memoria che prende il via dai Bamboccianti, scuola pittorica del Seicento che ha come punto di riferimento e maestro Pietro van Laer noto anche con lo pseudonimo di Il bamboccio per il suo aspetto deforme e fanciullesco. Tipico di questa scuola è ritrarre scene popolari di vita comune della Roma papale con particolare attenzione a quel mondo che vive ai margini della società come ruffiani, ladri, giocatori e bari, prostitute e mendicanti. Sulla meditazione di idee caravaggesche quali la libertà compositiva, la maestria nell’usare luci e ombre, i Bamboccianti utilizzano un realismo antiretorico, di vena prevalentemente narrativa, con minute descrizioni di vita popolare e quotidiana. La Campagna Romana continua ad esercitare un incredibile fascino anche nei secoli successivi. In mostra si possono ammirare le struggenti immagini di Roma, Albano, Ariccia, Nemi, Frascati, Genzano, Anzio, Nettuno solo per citare alcune delle cittadine intorno alla capitale e le rovine romane disseminate nella Campagna Romana. Nell’esposizione figura un’importante tela di Filippo Pietro Roos detto Rosa di Tivoli (1657–1706) che ama inserire nelle sue composizioni di pecore e capre le figure di pastori trattati con un’esecuzione raffinata. Pittore di notevole importanza, rappresentato in mostra, è sicuramente Uberto Robert (1733-1808) specializzato nella pittura di rovine e capricci architettonici con figurine guizzanti e fantastiche visioni. Nella prima metà dell’Ottocento Roma esercita nel panorama artistico europeo un influsso notevole nella costituzione e nello sviluppo delle importanti collezioni d’Europa. La capitale pontificia resta il centro indiscusso della formazione artistica internazionale. Presenti molti artisti stranieri. In mostra figura un importante olio di Martino Verstappen (1773-1853), belga originario di Anversa, autore di pittoresche vedute del lago di Albano e dei dintorni della capitale, attivo a Roma negli anni Venti dell’Ottocento e maestro di Massimo Tapparelli conte d’Azeglio. In una mostra sulla Campagna Romana non può certo mancare Bartolomeo Pinelli (1781-1835), Pittor de Roma. Lo scenario rappresentato dall’artista è soprattutto quello della Campagna laziale, delle osterie romane popolate dai personaggi vestiti di costumi popolari. Da segnalare in mostra la presenza di molti disegni inediti di Carlo Francesco Knébel (1810-1877) divenuto “romano” per affetto e “per aver egli da molti anni di lodato esercizio nell’arte, tratto quasi sempre il soggetto de’ suoi quadri dai grandiosi e mirabili punti di vista che i dintorni di Roma offrono tanto frequenti quanto difficili a chiunque non abbia come lui lo studio e la pratica delle lontane prospettive e degli infiniti riflessi di luce a cui danno luogo” (Campello, 1865). Un capitolo a parte merita l’attenzione verso il costume popolare a partire dalla seconda metà del Settecento. Particolarmente interessante è la riflessione del Gregorovius nel suo peregrinare per la Campagna Romana. “È assai strano che, persino i più piccoli paesi, in Italia si differenzino tanto l’uno dall’altro sia nel costume che nel carattere e nel modo di vestire, come delle piccole repubbliche. Così ogni cittadina costruita sia sui monti che lungo il mare, forma un popolo a sé. Per formarsi un’idea precisa del pittoresco costume nazionale di questi nettunesi bisogna assistere ad una delle loro feste religiose, perché nei giorni feriali ci accorgiamo solo di particolari dettagli come un bellissimo modo di dividere la chioma a metà del capo, attorcigliando i capelli lungo la testa, senza farne una treccia, ma annodandoli con nastri, verdi le ragazze, rossi le donne e neri le vedove, di modo che uno sa sempre come distinguere le zitelle dalle maritate”. I XXV della Campagna Romana, gruppo di artisti nato nel 1904 con il proposito di rinnovare la tradizione pittorica nella raffigurazione “dal vero” dei luoghi nei dintorni di Roma e che prosegue la sua attività fino al 1930, dedicarono tutta la loro vita allo studio della Campagna Romana intesa nel suo più vasto significato, cioè quel grande scenario della natura che si estende fra i Colli Albani ed il Soratte sino a comprendere l’agro viterbese e le regioni montagnose e paludose che dalla Sabina, con un grande arco corrono sino a Terracina ed al Circeo. In mostra: Ettore Ferrari (1845-1920), Enrico Coleman (1846-1911), Onorato Carlandi (1848-1939), Paolo Ferretti (1864-1937), Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), Dante Ricci (1879-1957), Alessandro Morani (1859-1941), Filiberto Petiti (1845-1924), Carlo Montani (1868-1936), Filippo Anivitti (1876-1955), Umberto Coromaldi (1870-1948), Filiberto Corelli, (1886-1969), Lorenzo Cecconi (1863-1947), Enrico Ortolani (1883-1971), Napoleone Parisani (1856-1932), Alberto Carosi (1891-1967), Edoardo Gioja (1862-1937). La mostra si conclude con i pittori della Scuola Romana, gruppo vasto ed eterogeneo dai linguaggi espressivi anche molto differenti accomunati però da un atteggiamento di opposizione sia nei confronti degli intellettualismi delle avanguardie, sia nei confronti della revisione linguistica in senso classicista promossa dai gruppi novecentisti che proliferano numerosi nel generale clima di “ritorno all’ordine” degli anni ‘30: Dante Ricci (1879-1957), Carlo Levi (1902-1975), Edoardo Navone (1844-1912), Giovanni Stradone (1911-1981), Carlo Quaglia (1903-1970), Orazio Amato (1884-1952), Giulio Turcato (1912-1995), Corrado Cagli (1910-1976), Francesco Trombadori (1886-1961). In queste opere colpisce come il rigore formale lasci il posto a un’emozionalità fantastica e visionaria, accentuata dai caldi toni bruni rossastri. Ad Ugo Attardi (1923-2006) e Valeriano Ciai (1928) sono affidate le ultime immagini della rassegna con due olii sui ponti lungo il Tevere, il fiume che per eccellenza segna Roma e la campagna circostante sin dagli albori.

Catalogo: De Luca Editore

INGRESSO LIBERO

Orario: dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30

L’accesso è consentito fino a mezz’ora prima dell’orario di chiusura

Per informazioni: tel. 06780664.

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